L’annuncio di Londra è arrivato, anche se in maniera irrituale. Come dichiarato dalla baronessa Annabel Goldie, viceministra della Difesa nel governo Tory di Rishi Sunak, all’Ucraina, insieme a uno squadrone di tank MBT Challenger 2, verrà inviato il relativo munizionamento APFSDS (Armour-Piercing Fin-Stabilized Discarding Sabot) con penetratore cinetico all’uranio impoverito. Perché Mosca teme così tanto questo tipo di proiettili e perché fino a ora non li ha utilizzati, visto che ne dispone in gran quantità? Innanzitutto è bene ricordare che gli americani ne hanno fatto un ampio uso sia nei Balcani (con il munizionamento installato sui velivoli caccia-carri A-10 dell’USAF), sia in Iraq. In quest’ultimo Paese, il Comitato scientifico SIGNUM (Studio Impatto Genotossico nelle Unità Militari), nella sua relazione, ha dichiarato che non meno di 300 tonnellate di munizionamento all’uranio impoverito sono state impiegate nella Guerra del Golfo del 1991. L’altra domanda è perché il Regno Unito decida di utilizzare munizioni che mettono a rischio la salute dei militari e della popolazione presenti nei luoghi di impiego. Le motivazioni, più che nel campo militare, devono essere ricercate in quello economico: produrre proiettili all’uranio impoverito costa meno, soprattutto per quei Paesi, come la Gran Bretagna, che dispongono di grandi quantitativi di scarti provenienti dalle centrali nucleari.

Va però spiegato perché questo tipo di munizioni vengono utilizzate nel munizionamento controcarro. L’uranio ha una densità pari a 18,70 kg/dm³ e un punto di fusione relativamente basso, intorno ai 1.130 °C (per il ferro è di 1.530 °C). Il tungsteno, l’altro metallo impiegato nei penetratori APFSDS, ha una densità pari a 19,30 kg/dm³ e un punto di fusione di oltre 3.000 °C. Si tratta di un materiale assai fragile, ecco perché vengono aggiunti nerofumo o grafite (che vanno a formare il carburo di tungsteno) in modo da aumentarne la resilienza. Tuttavia, tale procedura ne abbassa la densità portandola a 15 kg/dm³. Nella fase di lavorazione, ottenuta una lega monocristallo abbastanza dura, si seguono tre processi per trasformare l’uranio impoverito in penetratori cinetici per i cannoni dei carri armati occidentali. Innanzitutto si realizza un nocciolo perforante che pesi come quello di carburo di tungsteno e che abbia la stessa lunghezza. Dato che il nocciolo in uranio ha un peso specifico maggiore del carburo di tungsteno, il suo diametro sarà minore con conseguente aumento della capacità perforante. Inoltre, a parità di peso il penetratore in uranio avrà lo stesso diametro di quello in carburo di tungsteno ma, essendo più corto, avrà una traiettoria più stabile, sia in volo che all’impatto. Infine, a parità di peso si cerca un compromesso fra i primi due punti, in modo da produrre una munizione equilibrata sia dal punto di vista della stabilità di volo che delle capacità perforanti.

In addestramento si è notato che i penetratori cinetici APFSDS sparati dai cannoni ad anima liscia a un certo punto della traiettoria diventano instabili. I penetratori al carburo di tungsteno cominciano a perdere stabilità dopo i 2.000 metri, mentre quelli all’uranio impoverito molto dopo. Nel corso della prima Guerra del Golfo i carri M-1A1 potevano colpire i T-72 iracheni rimanendo fuori dalla portata dei loro colpi.

Da questa breve disamina delle caratteristiche fisiche e balistiche dei colpi all’uranio impoverito sembrerebbe che il loro uso, sul campo di battaglia, sia assai vantaggioso, se consideriamo inoltre i notevoli quantitativi di uranio impoverito che ogni anno vengono prodotti come scarti dalle centrali nucleari negli Usa e nel Regno Unito. Il problema con questo tipo di proiettili è la contaminazione ambientale che causano, con tutte le conseguenze, in termini di salute, per i militari e per le popolazioni civili. Infatti, a seguito dell’impatto ad alta velocità contro la corazza o la blindatura di un veicolo – ma anche sul terreno – sviluppano temperature altissime rilasciando particelle polverizzate di uranio e di altri metalli che rimangono sospese e possono essere trasportate dal vento, depositandosi poi nei terreni circostanti e inquinando le falde acquifere.

Di contro, le attuali munizioni perforanti al carburo di tungsteno offrono prestazioni balistiche di tutto rispetto. I penetratori DM63A1, prodotte dalla Rheinmetall, costituiscono una delle ultime generazioni di APFSDS da 120 mm. Rispetto ai colpi precedenti, ad esempio, dispongono di una differente carica di lancio poco sensibile alle variazioni di temperatura. Grazie a questa caratteristica, le DM63A1 possono essere sparate con grande efficacia a temperature comprese tra -46 °C e +71 °C, con una variazione minima delle pressioni in camera di scoppio, con benefici rilevanti sulla balistica interna e sulla precisione del colpo.

Per quanto riguarda, invece, le capacità di perforazione, i colpi DM63A1 sono in grado di perforare oltre 600 mm di acciaio omogeno a 1.000 metri di distanza. In pratica offrono le stesse prestazioni di un colpo all’uranio impoverito, assicurando, quindi, una sufficiente superiorità sui carri russi, anche quelli più aggiornati, come i T-90M, T-80BVM e T-72B3M. Se gli inglesi hanno intenzione, come sembra, di inviare gli MBT Challenger 2 per sostenere gli sforzi ucraini contro le truppe russe potrebbero, in alternativa, armarli con munizioni APFSDS con penetratori al carburo di tungsteno, evitando così di contaminare il territorio ucraino e infliggere alla popolazione locale ulteriori sofferenze. Il motivo per cui hanno deciso di non farlo va ricercato più nell’ambito economico che militare. Come detto, il Regno, così come gli Stati Uniti, dispone di scarti di uranio provenienti dalle centrali nucleari che dovrebbero essere smaltiti, con conseguenti costi. Spese che non dovranno sostenere se lo stesso materiale viene riutilizzato per produrre munizioni. Inoltre, come detto, il punto di fusione dell’uranio è circa tre volte inferiore rispetto a quello del tungsteno: ne consegue che la lavorazione richieda temperature più basse e, quindi, un minor dispendio energetico.

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