Attività alpinistica

Montagna, quando la sicurezza incide sulla libertà

Pericolo e salvaguardia - Dopo che una valanga ha travolto e ucciso quattro escursionisti in Abruzzo, è stata emanata un'ordinanza per vietare l'accesso invernale alla zona tra il 15 novembre al 30 aprile. L'unico modo per diminuire i fattori di rischio è una preparazione adeguata al grado di difficoltà che si va ad affrontare  

Di Mountain Wilderness Italia (Fabio Valentini)
16 Gennaio 2023

Il 24 gennaio 2021 in Valle Majelama, in Abruzzo, una valanga ha travolto ed ucciso quattro escursionisti. Questa tragedia ha spinto il Comune di Massa d’Albe e la Riserva Naturale Monte Velino ad emanare nell’estate successiva un’ordinanza per vietare l’accesso invernale alla zona interessata dal 15 novembre al 30 aprile, indipendentemente dalle condizioni meteo e dall’eventuale presenza di neve. Pensate se tutte le vallate di montagna con potenziale rischio di caduta valanghe venissero chiuse con ordinanze simili. Evidentemente si è trattato di una precauzione presa per evitare eventuali chiamate di corresponsabilità perché un anno dopo, nell’estate 2022, lo stesso sindaco ha revocato la precedente ordinanza dopo l’approvazione del Regolamento delle rete degli itinerari sentieristici ricadenti all’interno del Parco naturale Regionale Sirente-Velino, per cui i tracciati prima vietati diventavano di pertinenza della REASTA (Rete Escursionistica, Alpinistica, Speleologica e Torrentistica d’Abruzzo).
Altre ordinanze di divieto per gli escursionisti ed alpinisti erano già apparse in precedenza in altre zone d’Italia, ma sempre per periodi assai più limitati e collegate al grado di pericolo di caduta valanghe. La Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) del 12 agosto 2019 ha cercato di affrontare il problema stabilendo che le ordinanze sindacali di divieto non hanno validità a meno che non siano suffragate da apposite perizie nivologiche (non da bollettino valanghe) puntuali e precise per luogo/pendio/versante e temporaneità di inizio e fine. Con scarsi risultati, però: le ordinanze si sono moltiplicate anche in seguito, sovrapponendosi a quelle sopraggiunte a causa dell’emergenza Covid, con drastica riduzione della libertà di movimento dei frequentatori della montagna. Il mantra è sempre quello della sicurezza, anche se interdire e vietare divengono in realtà mezzi per tutelare l’Amministrazione stessa da possibili azioni legali, atti di autotutela più che di vantaggio per la collettività. L’art.16 della Costituzione recita: “Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza”. La tragedia della scorsa estate in Marmolada poi, dove sono morte 11 persone per il crollo di un seracco, ha riproposto un interrogativo ricorrente: come definire cos’è la sicurezza, nella fattispecie sulle montagne?
La sicurezza in montagna non esiste, come del resto non esiste ovunque in assoluto. A fronte delle circa 20 vittime annuali causate dalle attività invernali in montagna, ad esempio, registriamo il decesso di 350 pedoni investiti da automobili o 600 ciclisti che muoiono ogni anno sulle strade. Il pericolo è ovunque, anche scendere le scale di casa senza la dovuta attenzione può risultare fatale.
Innanzitutto andrebbe evidenziata la differenza tra pericolo e rischio: il pericolo è una circostanza o una situazione dalla quale si teme possa derivare un danno grave, il rischio è l’esposizione ad un pericolo con l’eventualità di conseguenze negative. Conoscere il pericolo aiuta ad affrontare il rischio che in taluni casi può essere eliminato o ridotto, in altri casi deve essere accettato. La frequentazione della montagna necessita della conoscenza e della preparazione adeguata al grado di difficoltà che si va ad affrontare, questo diminuisce i fattori di rischio; essere consapevoli di ciò che si sta facendo e delle possibili conseguenze è fondamentale, per questo è particolarmente importante l’attività didattica ed educativa di preparazione fisica e culturale, ci si muove in un ambiente le cui regole si devono conoscere e rispettare, con l’umiltà di adattarsi ad esse e la consapevolezza dei propri limiti. Si deve inoltre considerare che le conseguenze delle proprie azioni possono coinvolgere anche altre persone, siano essi compagni di escursione o altri frequentatori della montagna fino agli eventuali soccorritori, quasi sempre volontari e -loro sì- consapevoli dei rischi che affrontano.
La pretesa di governare le leggi della Natura attraverso la promulgazione di norme e decreti di vario genere è tipicamente umana. L’ex presidente dal CAI Vincenzo Torti scriveva: «Auspichiamo una legislazione che guardi all’esigenza di sicurezza e tutela delle persone, senza per questo imporre ingiustificate limitazioni alla libertà individuale e oneri immotivati». Legislatori ed amministratori, se non hanno una preparazione e una consapevolezza specifica legata alla montagna, rischiano di ingarbugliare ulteriormente le cose contraddicendosi tra loro. Lo stesso Piano Nazionale di adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC), pubblicato nel dicembre 2022, sostiene che “l’attività alpinistica deve essere lasciata alle valutazioni del singolo alpinista e dei professionisti della montagna come le Guide alpine. Rispetto a chiusure mirate e localizzate di itinerari deve essere data priorità alle regole della consapevolezza del rischio e dell’auto-responsabilità ed alle iniziative di autoregolazione delle Società delle Guide alpine, soprattutto considerando la maggior valenza ed incisività sugli altri alpinisti.” Pericolo, rischio, sicurezza sono concetti che vanno contestualizzati all’attività che si svolge, applicandoli con buon senso e responsabilità.

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